TRIBUNALE ORDINARIO DI PERUGIA 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    Nella causa civile iscritta al  n.  6905/2015  R.G.  promossa  da
Mauro Volpi, Michele Guaitini, Tiziana Ciprini, Adriana Eden  Susanna
Galgano, Filippo Gallinella, Luigino Ciotti, Andrea Maori,  Nicoletta
Bernardi, Massimo Panella, Maria Beatrice Ricciardi, Ovidio Fressoia,
Maurizio Francesco Giacobbe, Mario Martini,  Elisabetta  Chiacchella,
Candido Balucca, Mario  Albi,  Roberta  Perfetti,  Luigi  Branchetti,
Lucina Paternesi Meloni, Luigi Cesarini, Geraldina Rindinella e  Anna
Rita Fiorini Granieri, ricorrenti, contro la Presidenza del Consiglio
dei ministri e il Ministero dell'interno, resistenti. 
    Il Giudice dott. Michele Moggi; 
    Esaminati atti e documenti di causa; 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  21  giugno
2016; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con ricorso ex  art.  702-bis  del  codice  di  procedura  civile
depositato il  30  novembre  2015,  Mauro  Volpi,  Michele  Guaitini,
Tiziana Ciprini, Adriana Eden Susanna  Galgano,  Filippo  Gallinella,
Luigino Ciotti, Andrea Maori, Nicoletta  Bernardi,  Massimo  Panella,
Maria  Beatrice  Ricciardi,  Ovidio  Fressoia,   Maurizio   Francesco
Giacobbe, Mario Martini,  Elisabetta  Chiacchella,  Candido  Balucca,
Mario Albi, Roberta  Perfetti,  Luigi  Branchetti,  Lucina  Paternesi
Meloni, Luigi Cesarini, Geraldina  Rindinella  e  Anna  Rita  Fiorini
Granieri, premesso di essere elettori residenti nella Regione  Umbria
e richiamati i principi espressi da Cassazione  civile,  sez.  I.  17
maggio 2013, n. 12060 nonche' da  Corte  costituzionale,  13  gennaio
2014,  n.  1,  con  riferimento  alla  precedente  legge  elettorale,
esponevano che il loro diritto di voto  costituzionalmente  garantito
era stato compromesso da alcune norme della nuova legge elettorale  6
maggio 2015,  n.  52,  la  quale  aveva  modificato  il  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  30  marzo  1957,  n.  361  e,   previa
rimessione  degli  atti   alla   Corte   costituzionale,   chiedevano
l'accertamento di tale lesione. 
    Ritualmente instaurato il contraddittorio  con  la  notifica  del
ricorso  e  del  pedissequo  decreto  di  fissazione   d'udienza,   i
resistenti  Presidenza  dei  Consiglio  dei  ministri   e   Ministero
dell'interno  si  costituivano  il   13   aprile   2016;   eccepivano
preliminarmente  l'inammissibilita'  del  procedimento  sommario,  in
quanto la  controversia  verteva  in  materia  non  ricompresa  nelle
ipotesi previste dagli articoli 22, 23 e 24 del  decreto  legislativo
1° settembre 2011, n. 150, con riferimento alla materia elettorale ed
in  quanto  in  tale  procedimento  il  Giudice  non  avrebbe  potuto
sollevare   questione   di   legittimita'   costituzionale,   nonche'
l'inammissibilita' della domanda per difetto di interesse ad agire in
quanto la legge elettorale  citata  sarebbe  stata  applicabile  solo
successivamente al  1°  luglio  2016;  nel  merito,  contestavano  la
sussistenza delle lesioni al diritto costituzionale di voto lamentate
dai ricorrenti e concludevano per il rigetto della domanda. 
    La causa veniva istruita solo con la produzione di documenti. 
    All'udienza del 21 giugno 2016, il Giudice, uditi  i  procuratori
delle parti, riservava la decisione. 
    La domanda oggetto del  presente  procedimento  sommario  e'  una
domanda di accertamento della lesione del diritto di voto,  per  come
costituzionalmente garantito, in conseguenza dell'approvazione  della
legge 6 maggio 2015, n. 52, contenente «Disposizioni  in  materia  di
elezione della Camera dei deputati» (il c.d. «Italicum»). 
    A fronte di' tale domanda, le  amministrazioni  resistenti  hanno
preliminarmente eccepito  l'inammissibilita'  del  procedimento  c.d.
sommario, in quanto la domanda proposta  non  rientra  nella  materia
elettorale disciplinata dagli articoli 22, 23  e  24  del  d.lgs.  1°
settembre 2011, n. 150. 
    A tal proposito,  e'  pur  vero  che  la  domanda  oggetto  della
presente controversia non rientra nell'ambito di  applicazione  degli
articoli 22, 23 e 24 del d.lgs. 1° settembre 2011, n.  150,  i  quali
disciplinano le azioni popolari  e  le  controversie  in  materia  di
eleggibilita', decadenza e incompatibilita' nelle elezioni  comunali.
provinciali e regionali, le azioni  in  materia  di  eleggibilita'  e
incompatibilita'  nelle  elezioni  per  il   Parlamento   europeo   e
l'impugnazione   delle   decisioni   della   Commissione   elettorale
circondariale in materia di iscrizione nelle liste  elettorali  e  di
eleggibilita': la presente controversia, infatti, non attiene al c.d.
elettorato passivo o attivo, cioe' ai presupposti necessari affinche'
un  soggetto  possa  essere  eletto  all'esito  di  una   determinata
competizione elettorale ovvero possa  partecipare  quale  elettore  a
tale competizione ma, piu'  in  generale,  riguarda  la  lesione  del
diritto di voto, per  come  costituzionalmente  garantito,  derivante
dalle regole che disciplinano le modalita' attraverso  le  quali  gli
elettori scelgono i propri rappresentanti in Parlamento. 
    Cio' detto, si deve  tuttavia  considerare  che  il  procedimento
sommario e' utilizzabile non solo per le controversie  specificamente
indicate nel d.lgs. l° settembre 2011, n, 150, ma, in  generale,  per
tutte le controversie «in cui il tribunale  giudica  in  composizione
monocratica», secondo quanto previsto dall'art. 702-bis c.p.c. 
    In questo senso si deve  valutare  se  la  presente  controversia
rientra in una delle  materie  in  cui,  ai  sensi  dell'art.  50-bis
c.p.c., «il Tribunale  giudica  in  composizione  collegiale»  e,  in
particolare, tra le «cause nelle quali e'  obbligatorio  l'intervento
del pubblico ministero», secondo quanto previsto dall'art. 70 c.p.c. 
    Sotto questo  profilo,  pero',  deve  ritenersi  che  la  domanda
oggetto del  presente  procedimento  non  rientra  nell'ambito  delle
«cause riguardanti lo stato  e  la  capacita'  delle  persone»  nelle
quali,  per  l'appunto,  e  obbligatorio  l'intervento  del  Pubblico
Ministero ai sensi dell'art.  70  c.p.c.;  nel  caso  di  specie,  in
effetti, non e' in  discussione  la  sussistenza  dello  «status»  di
elettore e, anzi, la sussistenza dello «status» di elettore  in  capo
ai ricorrenti costituisce piuttosto il presupposto sulla cui base  e'
stata introdotta la controversia, la quale  -  come  accennato  supra
attiene  all'accertamento  della  lesione  del  diritto  di  voto  in
relazione ad alcune norme che disciplinano le modalita'  di  elezione
della Camera dei deputati. In questo scuso, la controversia in  esame
non rientra tra quelle per le quali e'  competente  il  Tribunale  in
composizione collegiale ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c.  Ed  allora,
poiche' la domanda proposta rientra nella competenza del Tribunale in
composizione monocratica,  e'  pertanto  ammissibile,  ai  sensi  del
combinato disposto dell'art. 702-bis, comma l° e  dell'art.  702-ter,
comma 2° c.p.c., lo svolgimento del giudizio secondo  le  regole  del
procedimento sommario. 
    La controversia, come si avra' modo di evidenziare infra richiede
tuttavia un'istruttoria complessa - ed in questo senso non «sommaria»
per come previsto dall'art. 702-ter, 3° comma del codice di procedura
civile  -  dovendosi  sollevare   una   questione   di   legittimita'
costituzionale, attivita'  incompatibile  con  il  procedimento  c.d.
sommario (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. VI,  27  ottobre
2015, n. 21914), e dovendosi conseguentemente disporre la sospensione
del processo ai sensi dell'art. 295 del codice di procedura civile  e
dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Per tale  ragione,  con  la
presente ordinanza, deve essere altresi' disposto  il  mutamento  del
rito da sommario ad ordinario. 
    Sempre  preliminarmente,  ancora  tenuto   conto   dell'eccezione
sollevata dalle amministrazioni resistenti, si tratta di valutare  se
sussiste l'interesse ad agire dei  ricorrenti  di  cui  all'art.  100
c.p.c. 
    A tal proposito, si' deve premettere che  l'interesse  ad  agire,
previsto quale  condizione  dell'azione  dall'art.  100  c.p.c.,  con
disposizione che consente  di  distinguere  fra  le  azioni  di  mera
iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il  bene  della
vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica  incertezza
in ordine alla sussistenza di un determinato diritto, va identificato
in una situazione  di  carattere  oggettivo  derivante  da  un  fatto
lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in cio'  che  senza
il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe un
danno,  con  la  conseguenza  che  esso  deve  avere  necessariamente
carattere attuale, poiche' solo in tal caso trascende il piano di una
mera prospettazione soggettiva assurgendo a  giuridica  ed  oggettiva
consistenza,  e  resta  invece  escluso  quando   il   giudizio   sia
strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di
una questione di diritto in vista di situazione  future  o  meramente
ipotetiche (in tal senso,  cfr.  Cassazione  civile,  sez.  lav.,  23
novembre 2007, n. 24434; Cassazione civile, sez. II, 18 aprile  2002,
n. 5635). 
    Sotto  questo  profilo,  considerato  che  l'esercizio  del  voto
secondo modalita' conformi alle previsioni costituzionali costituisce
un diritto inviolabile e permanente dei cittadini,  i  quali  possono
essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono  poterlo
esercitare in modo conforme a Costituzione (cfr.  Cassazione  civile,
sez. I, 17 maggio 2013, n. 12060), appare irrilevante  il  fatto  che
non si siano ancora svolte  elezioni  con  la  legge  elettorale  che
determinerebbe la lesione del diritto di voto. 
    D'altro canto, per analoghe ragioni, appare irrilevante anche  il
fatto che non  siano  ancora  stati  convocati  i  comizi  elettorali
relativamente ad elezioni da  svolgersi  applicando  la  nuova  legge
elettorale;   del   resto,   ove   la   questione   di   legittimita'
costituzionale potesse porsi solo successivamente  alla  convocazione
dei comizi elettorali, si rischierebbe di pregiudicare ogni  concreta
e tempestiva possibilita' di tutela. 
    Infine, appare altresi' irrilevante  il  fatto  che  la  medesima
legge elettorale, secondo quanto  previsto  dall'art.  2,  comma  35,
legge 52/2015, sia destinata ad essere applicata alle elezioni che si
svolgeranno dopo il 1° luglio 2016, ovvero in epoca  successiva  alla
proposizione della domanda  oggetto  del  presente  procedimento,  in
quanto la  legge  e'  comunque  gia'  entrata  in  vigore  e  la  sua
applicazione e' stata solo differita nel tempo. 
    Ne' puo' sostenersi che la domanda di accertamento della  lesione
del diritto di voto sia stata  proposta  al  solo  fine  di  ottenere
l'accesso  al  giudizio  di  costituzionalita'  dinanzi  alla   Corte
costituzionale. Per come gia'  evidenziato  in  giurisprudenza  (cfr.
ancora Cassazione civile, sez. I, 17 maggio 2013,  n.  12060,  ovvero
l'ordinanza con cui e' stata sollevata una questione di  legittimita'
costituzionale con riferimento  alla  legge  elettorale  21  dicembre
2005, n. 270), ai fini della  proponibilita'  delle  azioni  di  mero
accertamento, e' sufficiente l'esistenza di uno  stato  di  dubbio  o
incertezza oggettiva sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi
scaturenti da un  rapporto  giuridico  di  fonte  negoziale  o  anche
legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non
evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale
della  concreta  volonta'  della  legge,  senza  che  sia  necessaria
l'attualita' della lesione di un diritto. 
    Del resto, la Corte costituzionale, con la gia'  citata  sentenza
13 gennaio 2014, n. 1, ha gia' ritenuto ammissibile una questione  di
legittimita' costituzionale proposta in  modo  del  tutto  analogo  a
quella oggetto del presente  procedimento  (con  l'unica  differenza,
sulla cui irrilevanza si e' gia' discusso supra, derivante dal  fatto
che in tale caso la legge elettorale era gia'  stata  precedentemente
applicata). 
    Si tratta a questo punto di valutare la sussistenza dei requisiti
di rilevanza e non  manifesta  infondatezza  previsti  dall'art.  23,
legge 11 marzo 1953, n. 87, perche' il Giudice  possa  sollevare  una
questione di legittimita' costituzionale in via  incidentale  dinanzi
alla Corte costituzionale. 
    Con riferimento al requisito  della  «rilevanza»,  da  intendersi
come prevedibile concreta  applicabilita'  della  norma  oggetto  del
dubbio di costituzionalita' nel  procedimento  ove  la  questione  e'
stata  sollevata,  si  deve  ribadire  che  l'oggetto  del   presente
procedimento  e'  l'accertamento  del  diritto  dei   ricorrenti   di
esercitare il voto  in  maniera  conforme  a  quanto  previsto  dalla
Costituzione, diritto che sarebbe leso dal nuovo  sistema  elettorale
approvato con legge 6 maggio 2015, n. 52. In quest'ottica,  in  linea
di principio e salvo quanto si avra' modo di  evidenziare  infra  con
specifico riferimento ad alcuni dei motivi di ricorso,  le  questioni
di  legittimita'  prospettate  appaiono  rilevanti,  in   quanto   la
risoluzione  delle  stesse  e'  pregiudiziale  alla  decisione  della
controversia; ove infatti dovesse essere  accertata  l'illegittimita'
costituzionale delle norme in esame, il Giudice dovrebbe  riconoscere
l'esistenza  della  lesione  e,  conseguentemente,   ristabilire   le
modalita' di esercizio del diritto conformemente a quanto previsto in
Costituzione. 
    Sotto  questo  profilo,  si  deve  anche  escludere  che  vi  sia
coincidenza tra l'oggetto del giudizio di merito principale e  quello
del  giudizio  di  costituzionalita'  e  che,  conseguentemente,   la
questione di costituzionalita' prospettata non possa essere  ritenuta
«incidentale» rispetto al processo di merito. Come  gia'  evidenziato
(cfr. ancora Cassazione civile, sez. I, 17 maggio 2013, n. 12060),  a
Corte costituzionale ha invero ritenuto inammissibili le questioni di
legittimita' costituzionale che  costituiscano  «l'oggetto  esclusivo
del giudizio a quo», nei casi  in  cui  non  sia  ravvisabile  alcuna
questione di merito, o non sia possibile individuare, venuta meno  la
norma censurata, un provvedimento ulteriore emanabile dal  giudice  a
quo per realizzare la tutela della situazione giuridica fatta  valere
dal  ricorrente  nel  processo  principale.  Ma   la   stessa   Corte
costituzionale ha puntualizzato che  «nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale in via incidentale,  la  circostanza  che  la  dedotta
incostituzionalita' di  una  o  piu'  norme  legislative  costituisca
l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo, non impedisce  di
considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni  qualvolta
sia individuabile nel  giudizio  principale  un  petitum  separato  e
distinto dalla questione di legittimita' costituzionale, sul quale il
giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi». 
    Cosi', nel caso di specie, la proposta questione di  legittimita'
costituzionale «non esaurisce  la  controversia  di'  merito»  ed  ha
rispetto ad  essa  una  «portata  piu'  ampia  in  quanto  introdotta
mediante la formulazione di una domanda di accertamento»; in effetti,
la sentenza che definisce il  giudizio  di  merito  e'  destinata  ad
accertare l'avvenuta lesione del  diritto  azionato  e,  allo  stesso
tempo, a ripristinarlo nella pienezza della sua  espansione,  seppure
per il tramite della sentenza costituzionale. Del  resto,  questo  e'
quanto avvenuto con la sentenza della Cassazione civile, sez.  I,  16
aprile 2014, n.  8878,  la  quale  e'  intervenuta  a  seguito  della
sentenza della Corte costituzionale 13 gennaio 2014, n.  I,  con  cui
era stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della precedente
legge elettorale. 
    Quanto poi alla «non manifesta infondatezza», da intendersi  come
ragionevole dubbio dell'illegittimita' costituzionale della norma non
superabile mediante l'ordinaria attivita' interpretativa,  si  tratta
di esaminare i singoli motivi di ricorso prospettati dai ricorrenti. 
    Col primo motivo, i ricorrenti sostengono che la legge  n.  52/15
sarebbe  incostituzionale  in   quanto   approvata   a   seguito   di
presentazione  di  «questione  di  fiducia»   e,   dunque,   con   un
procedimento legislativo speciale in violazione dell'art.  72,  comma
4° Cost, che esclude tale possibilita' per le leggi elettorali. 
    Tale motivo appare tuttavia manifestamente infondato,  in  quanto
l'art. 72, comma 1°  Cost.,  nel  disciplinare  in  via  generale  il
procedimento  legislativo  «normale»  prevede  che   il   testo   sia
«esaminato da una commissione e poi  dalla  camera,  che  lo  approva
articolo per articolo e con votazione finale»; e cio'  e'  quanto  e'
pacificamente avvenuto nel caso di specie, nel quale la presentazione
della «questione di fiducia» ha  escluso  la  votazione  sui  singoli
emendamenti ma non la votazione articolo per articolo e quella finale
sull'intero provvedimento. 
    Col secondo motivo,  i  ricorrenti  evidenziano  l'irrazionalita'
della normativa (art. 1, comma 1, lettera  f)  legge  52/2015)  nella
parte in cui prevede l'attribuzione  di  340  seggi  alla  lista  che
ottiene almeno il 40% dei voti validi in quanto la legge  non  regola
l'ipotesi in cui due liste ottengano entrambe il 40% dei voti validi. 
    Anche questo motivo appare manifestamente  infondato,  in  quanto
l'art. 1, comma 1, lettera  f),  legge  52/2015  trova  poi  migliore
specificazione nelle ulteriori previsioni contenute nella legge e, in
particolare nell'art. 2 che ha modificato l'art. 83, D P.R. 361/1957.
Tale ultima disposizione, cosi' come modificata  dall'art.  2,  legge
52/2015,  prevede,  al  comma  1°,  n.  1),  che  l'Ufficio  centrale
nazionale «individua la lista  che  ha  ottenuto  la  maggiore  cifra
elettorale nazionale» e, quindi, al comma, commi 5, 6 e 7  stabilisce
che se «tale lista» ha ottenuto almeno il 40 per cento del totale dei
voti validi espressi e non ha conseguito almeno 340 seggi, ha diritto
al premio di maggioranza,  ovvero  appunto  all'assegnazione  di  340
seggi; il  combinato  disposto  delle  norme  in  questione,  dunque,
contrariamente   a   quanto   sostenuto   dai   ricorrenti,    regola
espressamente l'ipotesi in cui piu' liste abbiano ottenuto almeno  il
40% dei voti, nel senso che il premio di  maggioranza  dovra'  essere
assegnato solo a quella delle due che avra' ottenuto piu' voti,  come
del resto e' del tutto logico. 
    Col terzo motivo, i ricorrenti lamentano  l'irrazionalita'  della
legge nell'ipotesi in cui, magari a causa di un estremo frazionamento
di tante liste minori, la prima lista, pur non ottenendo il  40%  dei
voti, abbia comunque conseguito almeno 340 seggi,  giacche'  in  tale
caso, non potrebbe restare ferma tale  assegnazione  di  seggi  e  si
dovrebbe comunque procedere al ballottaggio,  nel  quale  la  seconda
lista  potrebbe   anche   ottenere   piu'   voti   della   prima   e,
conseguentemente il premio di maggioranza. 
    Anche in questo caso, il  motivo  di  ricorso  appare  infondato.
Dall'esame dell'art. 83, comma 1°, numeri 1, 2,  5,  6  e  7,  D.P.R.
361/1957  risulta  che  l'ufficio  centrale  nazionale,  dopo   avere
determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ed  avere
proceduto al riparto dei seggi tra le liste  che  hanno  superato  lo
sbarramento, verifica se la lista con la  maggiore  cifra  elettorale
abbia raggiunto il 40% dei voti validi espressi e se tale lista abbia
ottenuto almeno 340 seggi,  e,  qualora  abbia  ottenuto  340  seggi,
«resta ferma l'attribuzione dei seggi» cosi' effettuata; in sostanza,
la complessiva lettura del testo normativo  induce  a  ritenere  che,
laddove una lista abbia gia' raggiunto 340 seggi, non vi sara'  alcun
ballottaggio e la lista in questione manterra' fermo  il  numero  di'
seggi raggiunto, posto che, se lo scopo della legge e' nel  senso  di
attribuire di premio di  maggioranza  alla  lista  che  ha  vinto  le
elezioni ma che non ha anche conseguito 340 seggi, se  una  lista  ha
ottenuto comunque 340 seggi, non vi  e'  motivo  di  costringerla  al
ballottaggio, in quanto tale lista ha comunque gia' raggiunto, in via
diretta, quel numero di seggi che il legislatore  ritiene  necessario
per garantire la governabilita'. Ed anche tale conclusione appare del
tutto razionale. 
    Con  il  quarto  motivo,  i   ricorrenti   lamentano   che,   con
l'indicazione  sulla  scheda  elettorale  del  leader   della   lista
vincente, sia stata sostanzialmente prevista l'elezione popolare  del
Presidente del Consiglio e, conseguentemente, sia stato  svuotato  il
potere del Presidente della Repubblica stabilito dall'art. 92,  Cost.
e realizzato una modifica della forma di governo  da  parlamentare  a
presidenzialista, in violazione dell'art. 138 Cost. 
    Anche questo motivo appare palesemente infondato. 
    Si  deve  invero  premettere  che,  anche  con  la  nuova  legge,
dall'esame  31,  D.P.R.  361/1957,  risulta  che  non   e'   prevista
l'indicazione del capo della forza politica sulla scheda  elettorale;
piuttosto, per come disposto dall'art.  14-bis,  primo  comma  D.P.R.
361/1957, per come sostituito dall'art. 2, comma 8,  legge  6  maggio
2015, n.  52,  e'  previsto  che,  contestualmente  al  deposito  del
contrassegno della lista elettorale, venga  depositato  il  programma
elettorale con l'indicazione del «capo della forza politica». 
    Cio' detto, l'art. 92 Cost., il quale dispone che «Il  Presidente
della Repubblica nomina il Presidente del  Consiglio  dei  ministri»,
non e' stato ovviamente modificato dalla legge in esame, la quale  in
verita', in quanto norma di legge ordinaria di rango  inferiore  alla
Costituzione, non avrebbe in alcun modo potuto modificare la suddetta
norma costituzionale; anzi,  la  citata  legge  ha  prestato  formale
ossequio  all'art.  92  nell'inciso  «Restano  ferme  le  prerogative
spettanti al  Presidente  della  Repubblica  previste  dall'art.  92,
seconda comma, della Costituzione», contenuto all'art. 14-bis  D.P.R.
361/1957. 
    In quest'ottica, come gia' evidenziato da  Corte  costituzionale,
sentenza 25 gennaio 2011, n. 23, la disciplina  elettorale,  in  base
alla quale i cittadini indicano il «capo della forza politica»  o  il
«capo della coalizione», non modifica  l'attribuzione  al  Presidente
della Repubblica del potere di nomina del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, operata dall'art. 92, comma 2° Cost., ne' la  posizione
costituzionale di quest'ultimo. 
    Inoltre,  nelle  norme  della  nuova  legge,  non  vi  e'  alcuna
disposizione dalla quale si possa far discendere  l'esistenza  di  un
vincolo derivante dall'indicazione del «capo della forza politica» da
parte della lista che poi risultera' vincitrice rispetto al potere di
nomina del Presidente del Consiglio da  parte  del  Presidente  della
Repubblica. In questa prospettiva, fermo restando che in ogni caso la
scelta del Presidente della Repubblica non potra' che ricadere su  un
soggetto che sia in grado di  ottenere  la  fiducia  della  Camera  e
dovra' comunque tener conto del risultato elettorale e fermo restando
altresi' che la lista vincitrice avra' gia' indicato colui che, quale
capo della corrispondente forza  politica,  verra'  poi  indicato  al
Presidente della Repubblica come futuro Presidente del Consiglio  nei
corso delle consultazioni, non vi e' alcun automatismo che imponga al
Presidente  della  Repubblica  di  nominare  proprio  tale   persona,
dovendosi ritenere che, viceversa,  il  Presidente  della  Repubblica
potra' e dovra' tenere conto  di  ogni  altra  variabile,  quali,  ad
esempio,  le  eventuali  cause  di  ineleggibilita'  sopravvenute   o
l'esistenza di gravi ragioni di opportunita' che consiglino la scelta
di una persona diversa. 
    Con il quinto motivo, i' ricorrenti lamentano poi che  il  premio
di maggioranza e' troppo alto, pari fino al 14% dei voti, e non tiene
conto dei seggi assegnati alla circoscrizione estera. 
    A tal proposito, occorre partire dai principi gia'  affermati  in
precedenza dalla Corte costituzionale (cfr, Corte costituzionale,  13
gennaio  2014,  n.  1  e  le  ulteriori  pronunce  ivi   richiamate);
quest'ultima, dopo avere evidenziato che l'Assemblea costituente, pur
manifestando con l'approvazione di un ordine del giorno il favore per
il sistema proporzionale nell'elezione dei membri  della  Camera  dei
deputati, non intese costituzionalizzare  questa  scelta  e  preferi'
lasciare al legislatore la scelta sul sistema elettorale, ha tuttavia
chiarito che  il  sistema  elettorale,  pur  costituendo  espressione
dell'ampia discrezionalita' legislativa, non e' esente da  controllo,
essendo sempre censurabile in sede di giudizio  di  costituzionalita'
quando risulti  manifestamente  irragionevole,  ed  ha  ulteriormente
specificato che, in tale ambito, spetta alla Corte verificare che  il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente  rilevanti  non  sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione  di  uno  di  essi  in  misura  eccessiva   e   pertanto
incompatibile con il dettato costituzionale e, a tal  fine,  valutare
se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e  le  modalita'  di'
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti  obiettivi.  Applicando  questi  principi,  la
Corte costituzionale ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
della  precedente  legge  elettorale  n.   270/2005,   legittimamente
finalizzala ad agevolare la formazione di  una  adeguata  maggioranza
parlamentare, allo scopo di garantire la stabilita' del  governo  del
Paese e di rendere piu' rapido il processo decisionale,  non  per  la
semplice previsione  di  un  premio  di  maggioranza  ma  perche'  il
meccanismo  premiale  previsto  garantiva  l'attribuzione  di   seggi
aggiuntivi (fino  alla  soglia  dei  340  seggi)  a  quella  lista  o
coalizione di liste che avesse ottenuto anche un solo  voto  in  piu'
delle altre, e cio' pure nel caso che il  numero  di  voti  fosse  in
assoluto molto esiguo, in difetto  della  previsione  di  una  soglia
minima di voti e/o di seggi. 
    Ora, la legge n. 52/2015, proprio al fine di andare incontro alle
censure della Corte costituzionale, ha invece previsto che il  premio
di maggioranza operi quando una lista ha ottenuto almeno il  40%  dei
voti validi ed espressi  al  primo  turno,  ovvero  ha  espressamente
previsto  una  soglia  minima   di   voti   che   non   puo'   essere
aprioristicamente definita come irrazionale,  in  quanto  non  troppo
esigua ne' molto distante dalla  maggioranza  assoluta.  Anche  sotto
questo profilo, dunque, salvo quanto si  avra'  modo  di  evidenziare
infra con riferimento al ballottaggio, motivo appare infondato. 
    Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano che anche in caso  di
ballottaggio, e' previsto un premio di  maggioranza  troppo  alto  ed
inversamente  proporzionale  all'entita'   del   consenso   ricevuto,
attribuito a prescindere da un quorun minimo di voti validi, tale  da
determinare  la  trasformazione  della  legge  da   proporzionale   a
maggioritaria. 
    L'art. l, comma  1,  lettera  f)  dispone  che  «sono  attribuiti
comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno
il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza a quella  che  prevale
in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti,
esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento  tra
i due turni di votazione»; tale  norma  e'  stata  poi  concretamente
attuata nell'art. 83, comma 5, D.P.R.  n.  361/1957,  come  novellato
dall'art. 2, comma 25, legge n. 52/2015. 
    Richiamato quanto appena evidenziato con riferimento  ai  criteri
di valutazione del bilanciamento tra gli interessi  in  gioco  e,  in
particolare, tra l'esigenza  di  garantire  la  governabilita'  e  la
rapidita' del  processo  decisionale  da  un  lato  e  l'esigenza  di
salvaguardare l'uguaglianza del diritto  di  voto  dall'altra  e,  in
particolare, i principi gia' espressi  di  Corte  costituzionale,  13
gennaio 2014, n. 1 sul punto, contrariamente a quanto evidenziato  al
punto precedente, si deve qui rilevare  che  il  meccanismo  previsto
dalla nuova legge, per l'ipotesi in cui  nessuna  delle  liste  abbia
raggiunto al primo turno il 40% dei voti validi, garantisce il premio
di maggioranza a quella lista che risulti vincitrice nel ballottaggio
tra le due liste piu' votate, senza prevedere alcuna soglia  di  voti
minima ed escludendo ogni forma di collegamento o apparentamento  tra
lista; e' pur  vero  che,  per  la  vittoria  al  secondo  turno,  e'
necessario ottenere il 50%+1 dei voti validi, ma e' anche  vero  che,
notoriamente, al secondo turno, dinanzi alla  scelta  secca  tra  due
proposte, si assiste sovente ad un'elevata  astensione  e,  comunque,
nel caso di specie,  non  e'  previsto  alcun  correttivo,  quale  ad
esempio il raggiungimento di un quorum  minimo  di  votanti  in  tale
turno o di un ulteriore quorum minimo al primo turno;  ed  allora,  a
fronte di un meccanismo, il quale garantisce il 55% dei seggi ad  una
lista che potrebbe avere ottenuto  al  primo  turno  una  percentuale
attorno al 25-30% dei voti, per  la  quale  non  e'  possibile  alcun
collegamento con altre liste, puo' ritenersi  sussistente  il  dubbio
sulla costituzionalita' di una normativa, quella dettata dall'art. l,
comma 1, lettera f) e dall' art. 2, comma 25, legge n. 52/2015 e  83,
comma 5, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  361/1957,  che
pare sacrificare eccessivamente il principio della rappresentativita'
e,  quindi,  dell'uguaglianza  del  voto  rispetto  al  principio  di
governabilita', in relazione agli articoli 1, comma 2°, 3 e 48, comma
2° Cost. 
    Con il settimo motivo, i' ricorrenti denunciano  l'illegittimita'
del meccanismo previsto dalla  legno  con  riferimento  ai  capilista
bloccati ed al sistema delle preferenze, sostenendo che tale  sistema
potrebbe portare, soprattutto  in  un  sistema  politico  «tripolare»
quale quello attuale, all'elezione  di  almeno  trecento  deputati  a
seguito di designazione in via esclusiva dai partiti, con lesione del
diritto al voto. 
    Si deve anche in questo caso partire  dalle  osservazioni  a  suo
tempo  svolte  nella  piu'  volte  richiamata  sentenza  della  Corte
costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1: in tale occasione,  la  Corte,
dopo avere evidenziato che le funzioni attribuite ai partiti politici
dalla legge ordinaria al fine di eleggere le  assemblee  -  quali  la
«presentazione  di  alternative  elettorali»  e  la  «selezione   dei
candidati  alle  cariche  elettive   pubbliche»   -   devono   essere
preordinate ad agevolare la partecipazione  alla  vita  politica  dei
cittadini ed  alla  realizzazione  di  linee  programmatiche  che  le
formazioni politiche sottopongono al corpo  elettorale,  al  fine  di
consentire una scelta piu' chiara e consapevole anche in  riferimento
ai candidati, ha affermato che  la  circostanza  che  il  legislatore
abbia  lasciato  ai  partiti  il  compito  di  indicare  l'ordine  di
presentazione delle candidature non lede in alcun modo la liberta' di
voto del cittadino, a condizione  che  quest'ultimo  sia  pur  sempre
libero e garantito nella sua manifestazione di  volonta',  sia  nella
scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel  votare
questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso  il
voto di preferenza. E  per  questa  ragione,  la  Corte  ha  ritenuto
costituzionalmente illegittimo il sistema delineato dalla  precedente
legge elettorale nel quale vi  erano  delle  lunghe  liste  bloccate,
costituite da candidati che difficilmente il cittadino avrebbe potuto
conoscere e che erano predisposte dai  partiti  secondo  l'ordine  da
essi deciso, e il cittadino non poteva esprimere  alcuna  preferenza,
con la conseguenza che tutti i  candidati  che  poi  sarebbero  stati
eletti venivano ad essere sostanzialmente indicati dai partiti e  non
dagli elettori. 
    Cio'  premesso,  si  deve  anzitutto  rilevare  che  il   sistema
delineato dalla legge n. 52/2015, proprio per  evitare  di  incorrere
nelle censure della Corte costituzionale, e'  diverso,  cosicche'  le
conclusioni contenute nella precedente sentenza  non  possono  essere
automaticamente estese al nuovo sistema. 
    In effetti, secondo la  nuova  legge,  non  tutti  i  seggi  sono
attribuiti sulla base di liste bloccate ma  solo  una  parte,  quella
relativa ai capilista; per il resto, l'elettore puo' esprimere  delle
preferenze, scegliendo i candidati non in un lungo elenco ma  in  una
lista ben piu' breve, formata da un numero di candidati  pari  almeno
alla meta' dei numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale e
non  superiore  al   numero   dei   seggi   assegnati   al   collegio
plurinominale, tra l'altro con un meccanismo idoneo  a  garantire  la
parita' di genere, il che favorisce la conoscenza  e  la  conseguente
scelta dei singoli candidati.  Ed  allora  questo  sistema  non  puo'
essere  definito  irrazionale  perche'  consente  agli  elettori   di
scegliere, almeno in parte, i  propri  rappresentanti.  Anche  questo
motivo di ricorso appare pertanto manifestamente infondato. 
    Con l'ottavo  motivo,  i  ricorrenti  lamentano  l'illegittimita'
delle candidature  multiple,  in  forza  delle  quali  il  capolista,
presentatosi in piu' circoscrizioni, potrebbe, optando per l'elezione
in  una  piuttosto  che  in  un'altra,  determinare  l'esclusione   o
l'elezione degli altri  candidati  maggiormente  votati  nella  altre
circoscrizioni e quindi finirebbe  col  privare  gli  elettori  della
possibilita' di scegliere il proprio candidato. L'art. 85, D.P.R.  n.
361/1957, per come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52/2015
dispone che «Il deputato eletto in piu'  collegi  plurinominali  deve
dichiarare alla Presidenza della  Camera  dei  deputati,  entro  otto
giorni  dalla  data   dell'ultima   proclamazione,   quale   collegio
plurinominale  prescelga.   Mancando   l'opzione,   si   procede   al
sorteggio». 
    Richiamato  quanto  evidenziato  supra   con   riferimento   alla
legittimita'  del  meccanismo  delle  candidature  multiple  in   se'
considerato,  si  deve  viceversa  valutare   la   razionalita'   del
meccanismo in forza del quale  il  capolista,  presentatosi  in  piu'
circoscrizioni, puo' optare senza alcun vincolo per il collegio a cui
ricollegare l'elezione. Il meccanismo previsto dalla legge,  infatti,
comporta, da un lato, che il  capolista  decade  automaticamente  nei
collegi diversi da quello per il quale ha optato, con la  conseguenza
che in tali collegi si procede all'attribuzione  dei  seggi  in  modo
«normale» secondo i voti di preferenza che i candidati non  capolista
si sono aggiudicati ed in  ragione  dei  seggi  disponibili,  e  che,
dall'altro lato, nel  collegio  prescelto  i  candidati  che  abbiano
riportato piu' preferenze possono aspirare all'elezione solo  qualora
vi siano ulteriori seggi  disponibili.  In  questo  modo,  pero',  la
scelta  degli  «ulteriori»  eletti  viene   ad   essere   determinata
dall'opzione  del  capolista  per  l'una  o  l'altra  circoscrizione,
opzione che non e' sottoposta ad alcun  vincolo  o  predeterminazione
oggettiva ed e' quindi assolutamente libera e potra'  fondarsi  sulle
piu' varie ragioni  di  opportunita';  la  conseguenza  ulteriore  di
questo sistema, dal punto di vista dell'elettore, e'  che  l'elettore
medesimo viene privato del proprio  diritto  di  scegliere  i  propri
rappresentanti  con  le  preferenze,  in  quanto  la  propria  scelta
potrebbe ben essere vanificata dall'opzione del  capolista,  e  della
possibilita' di effettuare valutazioni prognostiche sull'utilita' del
suo voto di preferenza. 
    In   questa   prospettiva,   appare   lecito    dubitare    della
ragionevolezza  del   sistema,   in   quanto   il   principio   della
governabilita',  gia'  garantito  dal   sistema   delle   candidature
multiple, finisce in questa ipotesi per sacrificare eccessivamente il
diritto di scelta del candidato da parte degli elettori e, quindi, il
suo diritto di  voto.  Non  e'  quindi  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli  articoli
3 e 48, comma 2° Cost., dell'art. 85, decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361/1957, come modificato dall'art. 2, comma 27,  legge
n. 52/2015, nella parte in cui attribuisce  al  capolista  eletto  in
piu' collegi la facolta' di optare in modo illimitato e non vincolato
a criteri oggettivi e predeterminati, rispettosi - nel massimo  grado
possibile - della volonta' espressa dagli elettori. 
    Col nono  motivo,  i  ricorrenti  censurano  il  procedimento  di
ripartizione dei seggi disciplinato dalla nuova legge,  che  potrebbe
determinare, in  concreto,  l'attribuzione  di  un  numero  di  seggi
superiore al numero totale fissato dalla Costituzione (630),  e  cio'
in particolare laddove uno o piu' seggi dei nove collegi  uninominali
della Val d'Aosta e Trentino Alto Adige dovessero essere assegnati  a
candidati  espressione  di  liste  risultate  minoritarie   su   base
nazionale, in quanto in tal caso ai 340 seggi  assegnati  alla  prima
lista, ai 278 assegnati alle  liste  di  minoranza  ed  ai  12  della
circoscrizione estera, si dovrebbero aggiungere gli  ulteriori  seggi
in questione. 
    Tale motivo e' manifestamente infondato, in quanto  la  normativa
deve necessariamente  essere  interpretata  alla  luce  del  disposto
costituzionale per cui i deputati possono essere al massimo  630;  in
quest'ottica,  la   normativa   elettorale   deve   essere   comunque
interpretata  nel  senso  che  i   seggi   attribuiti   a   candidati
eventualmente eletti nelle due regioni sopra citate, ove appartenenti
alle liste di minoranza, dovrebbero essere sottratti dal  numero  dci
seggi attribuiti alle medesime liste su base nazionale. 
    Col decimo motivo, i ricorrenti lamentano,  in  estrema  sintesi,
che la legge n. 52/2015, introducendo delle soglie  di'  sbarramento,
rende  difficile  l'accesso  in  Parlamento   di   alcune   minoranze
linguistiche, in particolare a quelle diverse  da  quelle  di  lingua
tedesca e ladina del Trentino  Alto  Adige  e  da  quella  di  lingua
francese della Valle d'Aosta. 
    A  tal  proposito,  richiamando  quanto   accennato   supra   con
riferimento al requisito della «rilevanza», si  deve  preliminarmente
evidenziare che la questione, cosi'  come  prospettata  da  parte  di
soggetti che  pacificamente  non  appartengono  ad  alcuna  minoranza
linguistico, risulta  in  concreto  priva  di  rilevanza,  posto  che
l'eventuale accertamento della violazione della Costituzione da parte
delle  norme  di  legge  richiamate   non   determinerebbe   comunque
l'accertamento di una lesione  del  diritto  di  voto  degli  odierni
ricorrenti. 
    Peraltro, la questione appare anche manifestamente infondata,  in
quanto il ragionamento dei ricorrenti parte  dall'errato  presupposto
che tutte le minoranze linguistiche debbano  trovare  tutela,  intesa
quale rappresentanza  in  Parlamento,  laddove  in  realta',  proprio
tenuto  conto  della  diversa  consistenza  numerica  delle  suddette
minoranze, sarebbe  semmai  illegittimo  proprio  un  meccanismo  che
garantisse  rappresentativita'   anche   a   minoranze   linguistiche
numericamente esigue anche in  relazione  ai  proprio  territorio  di
riferimento. 
    Con l'undicesimo motivo, i ricorrenti lamentano  l'illegittimita'
costituzionale delle norme  che  regolano  la  raccolta  delle  firme
necessarie per poter  partecipare  alle  elezioni,  evidenziando  una
disparita' di trattamento dei nuovi  soggetti  politici,  rispetto  a
quelli gia' presenti  in  Parlamento,  in  quanto  i  nuovi  soggetti
politici devono munirsi di un numero di firme  di  elettori  iscritti
nelle liste elettorali (di comuni compresi nei Collegi nei  quali  si
intende partecipare) ricompreso tra 1.500 e 2.000 mila firme (ovvero,
in caso di scioglimento della Camera di deputati prima di 120 giorni,
da un numero pari alla meta' delle firme richieste in via ordinaria),
mentre nessuna sottoscrizione e' richiesta per  i  partiti  e  gruppi
politici costituiti in gruppo  parlamentare  in  entrambe  le  Camere
all'inizio della legislatura in corso ovvero per i partiti  o  gruppi
politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di  collegamento  di
cui all'art. 14-bis. 
    Anche in questo  caso,  tuttavia,  richiamando  quanto  accennato
supra con riferimento al difetto del requisito di rilevanza, si  deve
considerare che la lesione lamentata dai ricorrenti  non  attiene  al
loro diritto  di  voto  ma,  semmai,  alla  lesione  del  diritto  di
elettorato  passivo  di  quei  soggetti  per  i  quali  sarebbe  piu'
difficile presentare liste alle elezioni. 
    Peraltro, il motivo appare  anche  manifestamente  infondato,  in
quanto fondato sull'erroneo presupposto che sia irrazionale prevedere
delle diverse limitazioni al momento della presentazione delle liste,
laddove in realta' la  possibilita'  di  introdurre  tali  limiti  e'
comunque funzionale a garantire la migliore governabilita' del paese. 
    Col   dodicesimo   motivo,   i   ricorrenti   lamentano    ancora
l'illegittimita' dell'indicazione del capo della forza  politica,  in
quanto tale da svuotare il potere del Presidente della Repubblica  di
nominare il Presidente del Consiglio previsto dall'art. 92 Cost. 
    Tale motivo di ricorso appare tuttavia sostanzialmente ripetitivo
del  quarto  motivo  e,  pertanto,  si  devono  richiamare  tutte  le
considerazioni gia' svolte supra in tema  di  manifesta  infondatezza
del motivo in questione. 
    Col tredicesimo motivo, i ricorrenti  lamentano  l'illegittimita'
della tabella A che contiene l'individuazione geografica dei  collegi
plurinominali, evidenziando anche in questo  caso,  come  nel  decimo
motivo,  che  tale  individuazione  non  garantirebbe  le   minoranze
linguistiche diverse da quelle del Trentino Alto Adige e della  Valle
d'Aosta. 
    Anche in questo caso, pero', valgono sia in punto di  «rilevanza»
che di «manifesta  infondatezza»  le  osservazioni  gia'  svolte  con
riferimento al decimo motivo. 
    Col  quattordicesimo  motivo,  infine,  i'  ricorrenti  lamentano
l'irrazionalita' della  normativa  che  prevede  che  le  soglie  di'
accesso al Senato siano piu' elevate di' quelle della Camera (8%  per
le liste singole  e  20%  per  le  coalizioni),  in  quanto  potrebbe
favorire la formazione di maggioranze diverse. 
    Anche tale  motivo  di  ricorso  appare  tuttavia  manifestamente
infondato, in quanto la diversita' di sistemi elettorali tra  le  due
camere e' prevista gia' dalla Costituzione, cosicche' risulta  insita
nella Costituzione anche la possibilita' che le due camere presentino
maggioranze difformi. 
    In conclusione, per  tutte  le  ragioni  esposte,  devono  essere
dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le  questioni  di
costituzionalita' sollevate nel giudizio aventi ad oggetto: 
        l'art. 1, comma  1,  lettera  f),  legge  n.  52/2015  («sono
attribuiti comunque  340  seggi  alla  lista  che  ottiene,  su  base
nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o  in  mancanza,  a
quella che prevale in un turno di ballottaggio  tra  le  due  con  il
maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra  liste
o di apparentamento tra i due turni di votazione») e l'art. 2,  comma
25, legge n. 52/2015 in relazione al  novellato  art.  83,  comma  5,
D.P.R. n. 361/1957: «Qualora la verifica di' cui al comma  1,  numero
5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio
fra le liste che abbiano ottenuto al  primo  turno  le  due  maggiori
cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui al  comma
1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior  numero  di  voti
validi  al  turno  di  ballottaggio  l'Ufficio  assegna  340   seggi.
L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti  seggi
tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi  dei  comma
3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai  sensi  del
comma 4.»; 
        l'art. 2,  comma  27,  legge  n.  52/2015,  in  relazione  al
novellato art. 85, D.P.R. n. 361/1957.